E NEMMENO UN RIMPIANTO

Torna ai progetti

Project 1

Regia: EleutheraTeatro

Descrizione:

Percorso teatrale dentro l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters.

 

“Mi ricordo un giorno che andai a vedere i quadri di un pittore ora famoso e con un tuffo al cuore riconobbi scritto sul muro bianco, con un pennello grosso (non c’erano ancora i flu masters e i pennarelli) un verso dell’antologia col titolo sotto: Spoon River; il titolo abbreviato come ci si era subito abituati ad usarlo, quasi una strizzatina d’occhi. Perché per noi che eravamo giovani allora, Spoon River significava molte cose: la schiettezza, la fede nella verità, l’orrore delle sovrastrutture. Forse significava amore per la poesia; certo significava amore per quella poesia.”       (Fernanda Pivano)

L’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters continua a esercitare il suo fascino e la sua attrazione dal lontano 1916, anno della sua pubblicazione americana, anche se l’Italia dovette aspettare il 1943 per apprezzarla, quando arrivò nel nostro Paese grazie all’entusiasmo di una giovanissima Fernanda Pivano che cominciò a tradurla, dopo che Cesare Pavese gliel’aveva fatta conoscere - come esempio di differenza tra letteratura inglese e letteratura americana - e soprattutto amare.

Il progetto E nemmeno un rimpianto” propone agli studenti partecipanti di avvicinarsi ai celebri epitaffi scritti in verso libero da Masters, raccontati in prima persona dai defunti, attraverso un approccio non tradizionale o “scolastico” bensì teatrale, cercando di farli entrare in maniera coinvolgente e diretta dentro questo macrocosmo di sentimenti umani, dentro queste vite piene di tormento, di rimpianti, di disincanto, ma anche di passione, di coraggio e di bellezza, piene, soprattutto, di poesia. “L’autore considerava questo libro qualcosa in meno della poesia e qualcosa in più della prosa” scriveva ancora Fernanda Pivano. E, in effetti, lo stile netto e scarno, mai declamatorio, dei versi sembra aver dato ragione a Masters. Il poeta, che morì in miseria all’età di ottantuno anni, sostenuto dai prestiti di alcuni amici, prima e dopo Spoon River scrisse ancora versi, poemetti, opere teatrali, racconti, romanzi, ma non riuscì a produrre nulla di valore, nonostante la tenacia e la buona volontà.

E’ questo uno dei rari casi in cui l’opera sopravanza l’autore, vive di luce propria, compie il proprio viaggio nel mondo in purezza assoluta, in piena autonomia. Il nome dell’autore segue l’opera come se egli appartenesse ad essa, non il contrario, e il poeta è suo ospite, personaggio a sua volta, raccolto al suo interno; anche e soprattutto lui dorme sulla collina. Questo fa sì che le distanze vengano annullate come raramente accade. Il poeta è la sua poesia e la poesia è vita. Vita, nonostante l’intera opera graviti attorno al suo apparente contrario, cioè la morte. In questo libro il poeta la esorcizza trasformandola in figura retorica, in pura e semplice trovata. Gli serve per poter meglio cantare la vita vibrante di uomini e donne, altrimenti sconosciuti, destinati all’anonimia di quattro frasi segnate su una lapide. Masters, immerso in una cultura dai forti accenti puritani, sa che un uomo è molto più di ciò che appare e che molto di ciò che egli è o è stato realmente deve, per convenzione, passare sotto silenzio. Ha dunque bisogno di liberare i suoi personaggi dalla catena una corporeità che è anzitutto morale, ancor prima che fisica. La morte, per le voci dell’antologia, è un luogo sicuro, l’esatta distanza dalle convenzioni sociali che altrimenti ne impedirebbero l’espressione. Ascoltando le voci che gli giungono dalla collina, riesce così a tessere un racconto poetico di una sincerità sconvolgente e necessaria, che ci colpisce e ci affascina ancora oggi, perché in verità ci affacciamo sulle pagine di questo libro come su un’ampia superficie riflettente e restiamo turbati nel trovarci lì, scritti tra le righe di un epitaffio, pronti a essere cantati dalla voce di un poeta abbastanza acuto da riuscire a sentirci sognare, mentre riposiamo tutti sulla collina.