EleutheraTeatro

EleutheraTeatro nasce dall’incontro, nel 2015, tra Ilaria Andaloro e Fabio Gaccioli. Dopo due percorsi umani, lavorativi e artistici differenti, abbiamo unito e condiviso le nostre esperienze e il nostro cammino. Siamo educatori teatrali, attori e registi, attivi soprattutto tra Trento, dove attualmente viviamo, e l’Appennino tosco emiliano, da cui Fabio proviene. Fabio ha la passione per la lettura e la scrittura e ha pubblicato romanzi brevi e testi drammaturgici. Ilaria ha la passione per l’arte figurativa e ama particolarmente il Quattrocento toscano… e i tableaux vivants. Questi nostri interessi specifici ci permettono di suddividerci i ruoli: Fabio si occupa maggiormente della stesura dei testi e degli aspetti legati all’interpretazione, Ilaria cura soprattutto la messinscena e la regia. Il nome Eleuthera in greco significa libertà; lo abbiamo scelto proprio perché esprime il senso, per noi essenziale, di un fare teatro in grado di liberare le energie creative del singolo favorendo la relazione attiva con la comunità, che possa esaltare la libertà responsabile, di pensiero e creativa, ponendo chi lo pratica in un atteggiamento critico verso il reale e al contempo valorizzandone il potenziale poetico e simbolico. Crediamo infatti che la bellezza, chiusa e troppo spesso trattenuta dentro ciascuno di noi, sia un potente strumento politico, in grado di emanciparci e renderci cittadini realmente attivi. Eleutheria (ελευθερία) è anche un’opera, tra le meno note per la verità, di Samuel Beckett, autore che amiamo entrambi. Abbiamo condotto laboratori teatrali nelle scuole di ogni ordine e grado, nelle associazioni, nei centri diurni, nelle carceri e in un centro di prima accoglienza per migranti e richiedenti protezione internazionale. Siamo particolarmente interessati a portare la nostra personale pratica nei luoghi socialmente più “fragili”, agiti dalle differenze e dai conflitti, perché crediamo fortemente che lo strumento teatrale sia più efficace e potente là dove l’urgenza del dire e del comunicare resta più soffocata.
Ilaria Andaloro

Sono nata a Trento in anni in cui il teatro, perlomeno in questa città, era qualcosa di molto tradizionale, che si andava a vedere negli appositi luoghi istituzionali ma che non veniva ancora declinato in quegli aspetti che trovo, ora, i più vivificanti. La mia formazione classica mi ha permesso di avvicinarmi allo studio della tragedia e della commedia, greche e latine, alcune delle quali viste proprio con la scuola, di cui intuivo più di una scintilla di bellezza e trasformazione, ma gli amori giovanili possono essere fulminei, bruciarsi in fretta o al contrario permanere nel tempo e tornare a visitarti quasi a sorpresa. Ho fatto altre cose, prima di tornare a quel primo amore.
Ho studiato Arte, laureandomi in Estetica e specializzandomi in Storia dell’arte, che ho insegnato per un po’, accanto al lavoro nei Musei della mia città, dove ho frequentato la scuola di teatro triennale Spazio14. Proprio lì ho avuto la consapevolezza che tutto quel repertorio iconografico, fruito nel tempo, poteva essere ancora più interessante e appagante se vissuto sul e con il corpo, un corpo che poteva essere anche poetico e politico.
L’incontro con Amleto di William Shakespeare mi ha decisamente scombussolato la vita, portandomi a trasferirmi a Roma, dove ho frequentato l’Accademia Teatrale Sofia Amendolea, che mi ha permesso, oltre all’apprendere tecniche e strumenti, soprattutto di viaggiare e partecipare a diversi festival teatrali europei, gustandomi la fondamentale esperienza del confronto.
Ho poi frequentato il Corso d’Alta Formazione Il teatro come strumento per le professionalità educative, patrocinato dall’Università di Bologna, e sono tornata alla consapevolezza che a interessarmi era un teatro non tanto performativo quanto sociale e politico, in senso etimologico, inteso come strumento e non come fine, praticato come cittadinanza attiva e come Incontro con l’Altro e con le Alterità. Ho avuto la fortuna di conoscere molte persone che lavorano dentro questo teatro e dentro l’arte che è vita con dedizione, di imparare molto da loro e vorrei ricordarne qui alcune tra cui Pippo Delbono, Jurij Altschitz, Francesco Esposito, Antonio Viganò, Annet Henneman, Gianluigi Gherzi, Mimmo Sorrentino, Antonio Tassinari, Silvano Agosti, Armando Punzo e altri, da ognuno dei quali ho portato via qualcosa di prezioso.
Ringrazio in modo particolarmente affettuoso Sandro Conte del Teatro di Nessuno di Roma, un vero Maestro per me, per la fiducia datami, permettendomi di affiancarlo nei suoi seminari residenziali toscani. A Sandro devo molto: il rigore necessario in questo mestiere, il rispetto per ogni istante condiviso con gli altri attori-allievi e la custodia di quello stupore che scaturisce dal rito teatrale e che si tramuta in azione concreta.
Ringrazio tutti gli altri maestri incontrati: i bambini e gli adolescenti dei tanti laboratori scolastici e quelli del Villaggio del Fanciullo di Trento, i miei cari matti, come affettuosamente li chiamavo, del gruppo Orme nel Vento, tra i protagonisti più emozionanti del mio viaggio, che mi hanno insegnato che la fragilità psichica va difesa, protetta e non stigmatizzata, le detenute del carcere di Spini di Gardolo, un bello scossone a proposito di pre-giudizi, i migranti e i richiedenti protezione internazionale della Residenza Fersina di Trento, che ci hanno imposto continuamente di cambiare rotta, di non adattarci troppo, di non essere affrettati, di valorizzare la dimensione dell’ascolto.
Ringrazio Nicola Marchi, il mio figlioccio artistico, che mi segue e sostiene da tanto con grande e ricambiato affetto…e che è anche il creatore di questo sito!
…e ringrazio, soprattutto, Fabio, per essere capitato nella mia vita al momento giusto.
Fabio Gaccioli

Ho cominciato a fare teatro nel 1998, in Danimarca, per puro caso. Cercavo una scusa per lasciare le mie montagne, e il mio paese. Scelsi la Danimarca, e il Teatro, perché era il primo progetto in partenza all’interno di un percorso finanziato dalla comunità europea. E io e i miei vent’anni avevamo fretta.
In realtà quell’esperienza mi ha cambiato la vita. Nei due anni successivi ho studiato sotto la guida della regista Kirsten Andreasen, e realizzato spettacoli con una compagnia di ragazzi provenienti da ogni angolo d’Europa. Fu un vero e proprio risveglio: del corpo, della voce, della mente, dell’anima.
Tornato in Italia ho cercato in tutti i modi di continuare, frequentando la scuola di Teatro del Navile, a Bologna, diretta da Nino Campisi, dove mi sono diplomato attore. Il ricordo più dolce di quegli anni è l’incontro con il poeta Edoardo Sanguineti e il regista Giuseppe Bertolucci, con i quali ho avuto il privilegio di lavorare in occasione di una serie di letture sul Novecento in Sala Borsa.
Il mio primo progetto da neo diplomato è stato all’interno del centro di salute mentale di Castelnovo ne’ Monti, in provincia di Reggio Emilia, con un piccolo gruppo di matti. Avevo venticinque anni. Sentivo in qualche modo che il teatro, come luogo di produzione e performance chiuso in se stesso, mi andava stretto. Passai qualche mese a lavorare su uno spettacolo dal titolo I talloni dell’utopia. Scrivevamo le scene sul retro delle cartelline sulle quali normalmente gli psichiatri segnavano le terapie farmacologiche.
Agli inizi degli anni Duemila ho avuto la fortuna di incontrare l’amico scultore, insegnante e agricoltore - partigiano Luciano Giansoldati, che mi ha introdotto all’interno del mondo della scuola, dove ho lavorato per otto anni portando a termine spettacoli e laboratori sullo sfruttamento del corpo nella società contemporanea, la migrazione, le nuove povertà, le dipendenze, l’elaborazione del lutto, il bullismo, la dislessia. Luciano apriva il suo sguardo sociale e caldamente umano e io e il mio collega Alessandro Palladini cercavamo di mettere in scena, insieme ai ragazzi, percorsi di analisi poetica del reale. Per quasi dieci anni la scuola media di Felina, in provincia di Reggio Emilia, ha avuto una materia aggiunta, il teatro, alla quale i ragazzi si iscrivevano già a inizio anno.
Quell’esperienza ha segnato profondamente la mia vita e il mio lavoro.
Nel corso degli anni successivi ho fondato, insieme ad altri giovani del territorio, il collettivo Ansasà, con cui abbiamo portato in scena testi nostri e di autori più o meno noti. In quel periodo ho cominciato a scrivere e pubblicare racconti, su riviste cartacee e on line. Qualcuno di questi è finito anche in un paio di libri.
Mi è capitato anche di insegnare in una scuola di teatro e danza, ma l’esperienza che più mi ha appassionato e mi appassiona (ancora non è finita) è quella presso il Centro Erica di Cavola, dove ho lavorato per la prima volta a contatto con la disabilità. Ho tante cose da dire, un racconto poetico - fotografico realizzato in collaborazione con l’amico Andrea Herman, il risultato del primo anno di attività con i ragazzi del centro, è stato l’ultimo evento realizzato in terra emiliana prima del mio trasferimento.
Ho frequentato seminari di teatro con artisti come Jurij Alschitz e Annet Henneman, di drammaturgia con Mirko Di Martino e di socioanalisi narrativa.
Nel 2015, mentre lavoravo sul testo di Samuel Beckett L’ultimo nastro di Krapp, ho conosciuto Ilaria e da allora il mio percorso si è unito al suo: ho cambiato città e regione e oggi mi divido fra Trento e l’Appennino, terra a cui sono legato da solide radici.